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“Lo so che il pianeta non è eterno. Ma questi cinque milioni di anni che gli restano da vivere saranno i poeti e gli artisti a progettarli, a migliorarne l’esistenza operando sulla coscienza degli uomini, sulla critica dei loro sistemi di persuasione e decisione, sulle comunicazioni sociali, insomma sulla cultura.”

Dal “Catalogo generale delle opere di Eugenio Miccini”, 1°vol., Bandecchi&Vivaldi editore, 2005

 

Eugenio Miccini nasce a Firenze il 23 giugno del 1925. 

Destinato dalla famiglia al sacerdozio, vive in collegio e in seminario, dove compie studi umanistici e incontra grande interesse per la letteratura latina e la filosofia greca. A diciotto anni abbandona il seminario a seguito di una crisi religiosa per poi arruolarsi in guerra, disertando poco dopo per entrare a far parte della resistenza partigiana. 

Dopo i duri anni del dopoguerra, si iscrive in Università dove continua ad alimentare i propri interessi filosofici, seguendo i corsi di Giulio Preti riguardanti Hegel, Marx, Dewey e il Neo-Positivismo ed in particolare i libri dello stesso Giulio Preti Praxis ed Empirismo, Linguaggio comune e linguaggi scientifici e Retorica e Logica saranno fondamentali per la sua formazione logico-filosofica, arrivando in seguito alla laurea in Pedagogia assieme a Lamberto Borghi. 

Cominciato a dedicarsi alla scrittura creativa e alla saggistica, giunge nel 1961 a vincere il “Premio di Poesia della Città di Firenze” conferitogli da Mario Luzi. Inizia così un periodo di intensa partecipazione letteraria, nel quale comincia a frequentare letterati fiorentini come Mario Luzi stesso, Piero Bigongiari, Silvio Ramat, Sergio Salvi e Lamberto Pignotti, collaborando con loro per la rivista “Quartiere” e, assieme a Pignotti, cura le rubriche “Protocolli” e “Dopotutto” all’interno della rivista “Letteratura” dove pubblica alcuni studi di semiotica applicata al linguaggio della poesia, dell’estetica e alla metodologia critica. Nello stesso periodo inizia inoltre a frequentare letterati quali Enrico Falqui e Romano Bilenchi al caffè “Paszkowskij” e ad occuparsi della stesura dei Caffè Letterari fiorentini. Bilenchi stesso, oltre a trovargli un impiego presso la Sansoni editrice, riuscì a raccomandarlo a Elio Vittorini, che gli fece pubblicare nello stesso anno i Tre Poemetti ne “Il Menabò”, rivista che dirigeva assieme ad Italo Calvino. 

Inizia nel 1962 il suo percorso artistico, quando decide di abbandonare la poesia lineare, ritenendola insoddisfacente e credendo fosse necessario delineare la struttura per un nuovo tipo di poesia, che non si fermasse alla sola lettura, ma che potesse andare oltre, così da creare un nuovo tipo di linguaggio. Si trova quindi a ricercare una sorta di sovrapposizione tra codici espressivi differenti, come già era successo nei primi anni del Novecento con le corresti avanguardiste di Surrealismo, Dadaismo e Futurismo, senza però voler ripercorrere il loro stesso percorso. Infatti, partendo dal nuovo linguaggio che si stava formando nella comunicazione sociale, ovvero quello dei mass-media, le sue prime opere danno vita ad un nuovo stile linguistico, in cui parole e immagini si intrecciano, utilizzando gli strumenti espressivi della propria epoca.

Fonda così nel 1963, assieme a Lamberto Pignotti, ai musicisti Sylvano Bussotti e Giuseppe Chiari il Gruppo ‘70, coniando il termine “Poesia Visiva”.  

Ha inizio quindi un periodo di grande produttività sia per quanto riguarda spettacoli e incontri, sia per mostre e pubblicazioni, a cominciare dai due convegni tenutisi a Firenze nel 1963 sul tema “Arte e comunicazione” e nel 1964 su “Arte e tecnologia”, nei quali si discuteva di interdisciplinarità e interartisticità, ovvero di quelle pratiche messe in atto nelle arti caratterizzate da operazioni mixed media, includendo negli spettacoli non solo la parte visiva, ma rendendo partecipi tutte le esperienze sensoriali aggiungendo suoni, rumori, profumi… Si tratta quindi di non accettare più le modalità usuali di fare poesia, ma di inventarne di nuove, uscendo dalle leggi dell’industria editoriale.

Questo nuovo tipo di poesia comincia a farsi strada, distinguendosi per il concetto stesso di poesia dal Gruppo ’63 (in cui Miccini stesso aderì), che è una poesia autoanalitica e regressiva ma ancora fortemente “linguistica”, mentre quella del Gruppo ’70 è una poesia logo-iconica e sinestetica, slegata dalla sola parola.

Nel 1969 fonda a Firenze il Centro Téchne (parola derivante dal greco che sta a significare tutto ciò che aveva a che fare con quello che oggi si chiama arte e in generale con le abilità tecniche), lavorando alla rivista omonima che poneva al centro della sua ricerca la sperimentazione verbo-visiva, dove organizza incontri, mostre e spettacoli, e pubblica nel 1970 Poesie visive 1962-1970, Archivio della poesia visiva italiana ed Ex Rebus. 

Seguendo la strada tracciata dal Gruppo ’70, cominciano ad intraprendere lo stesso cammino anche altri artisti e autori, creando opere che contengano un rapporto tra le arti e le comunicazioni di massa. Seppur ancora in mancanza di un riscontro da parte della critica ufficiale: la Poesia Visiva non è né pittura né letteratura. 

Negli anni ’70 poi, oltre ad occuparsi dell’attività poetico-artistica, Miccini decide di impegnarsi anche nell’attività didattica: comincia a collaborare con l’Università di Firenze presso la Facoltà di Architettura come cultore delle Discipline Semiotiche, affiancando Egidio Mucci, docente di Strumenti e Tecniche della Comunicazione Visiva. 

Nel 1972 viene invitato alla Biennale di Venezia nella sezione “Il libro come luogo di ricerca”, a cura di Roberto Barilli e Daniela Palazzoli, cui partecipa nuovamente nel 1980, nella rassegna “Il tempo del museo”.

Nel 1983 fonda, assieme ad Arias-Misson, Jules Blaine, Jean François Bory, Paul De Vree, Sarenco e Franco Verdi il Gruppo Internazionale “Logomotives”, mentre due anni più tardi, nel 1985, continua la sua attività didattica trasferendosi da Firenze a Verona, dove vive per otto anni insegnando Storia dell’Arte Contemporanea nelle Accademie di Belle Arti sia di Verona che di Ravenna. Nel 1986, oltre a prendere nuovamente parte alla Biennale di Venezia, “Arte e Scienza”, si occupa della sezione Poesia Visiva in qualità di commissario alla XI Quadriennale di Roma. 

Nel 1993 partecipa alla sua ultima Biennale di Venezia e ritorna a vivere a Firenze, portando avanti la propria passione per la poesia.

Ha partecipato a numerose mostre internazionali: MoMA di New York, Stedelijk Museum di Amsterdam, Galleria Nazionale di Varsavia, Anversa, Valencia, Palazzo dei Diamanti di Ferrara, Palazzo Vecchio di Firenze, GAM di Torino, Hayward Gallery di Londra, Queensland Art Gallery di Brisbane, Palazzo Forti di Verona, Musei di Marsiglia, ecc.

Al lavoro di Miccini sono state dedicate numerose tesi di laurea oltre che dottorati di ricerca (tra cui alla Sorbona di Parigi e all’Università di Belgrado), ed è compreso in molte antologie e libri di testo scolastici.

I suoi lavori inoltre, figurano in molte collezioni pubbliche, tra cui: Museo della Pilotta di Parma, Museum of Modern Art di New York e le Gallerie Civiche di Céret, Mantova, Bologna, Valencia, Anversa, Lodz, Malo, Ghibellina, Varsavia, Perth, Tokyo, etc. 

Si spegne nella sua città natale, Firenze, il 19 giugno 2007.

 

Si ringrazia Gianna Bennati 

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